Comunicati stampa

Un’intervista a… Senatore Lucio Malan

Senatore Malan, la ringraziamo per la sua disponibilità a rispondere a questa intervista con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Potrebbe dirci brevemente come ci ha conosciuto?

Avendo frequentato molto gli Stati Uniti, so dell’esistenza della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni dagli anni ’70. In particolare, ricordo che mia zia, che emigrò nel West nel 1966, al suo primo ritorno, nel 1972, mi regalò due dischi del Mormon Tabernacle Choir: Faith of Our Fathers e God Bless America, che mi piacquero subito. Nel 1980 attraversando gli Usa in pullmann, passai da Salt Lake City e visitai il Temple Square. Nel 1990, vivendo un periodo negli States, ebbi l’opportunità di visitare il tempio di Las Vegas prima dell’inaugurazione. Poi, molto più recentemente, sono stato avvicinato da Giuseppe Pasta per lavorare a favore dell’approvazione parlamentare dell’intesa fra la Chiesa e la Repubblica Italiana. Ho avuto così occasione di diversi incontri con lui e altri dirigenti, e persino con il Presidente Monson, in occasione della cerimonia per l’inizio dei lavori del tempio di Roma.

Senatore, lei ha dimostrato più volte – ultimo in ordine cronologico  il suo intervento in Senato sulla mozione a difesa dei Cristiani nel mondo – il suo forte impegno per la ratifica delle Intese religiose ancora in sospeso con lo Stato. Perché ritiene che la ratifica delle Intese sia un passo importante in termini di libertà religiosa in Italia?

Le intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono previste dalla Costituzione approvata nel 1947 e danno sostanza al trattato di pace con le potenze alleate alla fine della Seconda Guerra Mondiale, al principio dell’uguaglianza dei cittadini e alla libertà religiosa, prevista dall’articolo 19 della Costituzione. È questione di giustizia, di fondamenti della vita democratica. È chiaro che in Italia la libertà religiosa c’è anche per chi non ha un’intesa, ma la Costituzione va attuata, così come sono attuati i rapporti privilegiati con la Chiesa Cattolica, in forza dell’articolo 7. Io ritengo che l’Italia potrebbe assumere un ruolo rilevante nella difesa della libertà religiosa nel mondo, ma proprio per questo deve attuarla pienamente nei propri confini.

Come lei ben sa, i fedeli di alcune denominazioni religiose, tra le quali anche la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, attendono da anni la ratifica della propria intesa religiosa. Quale crede sia il motivo di tanto tempo? Come mai sembra esserci tanto “disinteresse” da parte di alcuni politici verso le Intese? Eppure i fedeli appartenenti alle confessioni religiose che attendono la loro ratifica rappresentano, anche numericamente, una fetta importante della società.

C’è una sommatoria di elementi. La burocrazia tende ad essere lenta e ottusa per natura, e una confessione religiosa ha innanzitutto a che fare con la burocrazia. Sto per presentare una interrogazione sull’irragionevole durata delle pratiche per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, prendendo lo spunto da quanto il vescovo copto di Roma mi ha mostrato: vengono chiesti documenti inutili, viene chiesto di presentare carte che sono già state presentate, il tutto lasciando passare mesi e mesi tra un passo e l’altro. Tutti hanno solidarizzato con i fratelli copti quando erano vittime di attacchi particolarmente sanguinosi in Egitto, ma intanto li facciamo penare anni per riconoscere un diritto elementare. Poi c’è lo zelo di qualcuno che vuole essere più papista del Papa. C’è chi pensa di ingraziarsi le gerarchie cattoliche, lucrando qualche voto, mettendo i bastoni fra le ruote alle altre confessioni. Io sono certo che la Chiesa Cattolica è molto più aperta di quanto costoro pensano e, come si batte per la libertà religiosa nel mondo, così non pone ostacoli specifici in Italia.  Infine c’è l’ignoranza: molti hanno visioni fumettistiche di molte confessioni religiose, le confondono le une con le altre, pensano che se non sei cattolico non sei cristiano e così via. Mi permetto di supporre che di solito non conoscono neppure la propria religione, che magari ostentano di sostenere. In particolare, però, all’inizio di agosto dell’anno scorso, saremmo arrivati all’approvazione da parte del Senato di sei intese, tra cui quella con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, se un gruppo in particolare non si fosse messo di traverso, presentando 63 emendamenti e una sorta di veto politico. Quell’atteggiamento sta bloccando tutto ancora oggi.

Lei ha avuto modo di conoscere la nostra Chiesa ed i suoi insegnamenti, anche attraverso la sua partecipazione alla Cerimonia del Primo Colpo di Piccone per il Tempio di Roma lo scorso ottobre. Quali sono state le sue impressioni? Cosa l’ha colpita di più?

Ciò che mi ha colpito di più è stata la cortesia delle persone che ho avvicinato, la loro apertura nei miei confronti, un esterno alla loro chiesa, che pure è fortemente identitaria. In secondo luogo, la forte partecipazione alle cerimonie e agli eventi. Alla cerimonia di Roma l’emozione e la profonda partecipazione si potevano toccare con mano. In terzo luogo, la gioiosità. Molti, incluso nella mia chiesa, nei momenti di culto, di preghiera, di lettura delle Scritture, assumono automaticamente un atteggiamento vicino al luttuoso, forse pensando di mostrarsi solenni. Tra i Santi degli Ultimi giorni ho invece visto tanti volti sorridenti.

Quale messaggio vorrebbe portare ai nostri giovani, ma anche a tutti i nostri fedeli?

Da cristiano a cristiani: che se confidiamo in Gesù, non saremo mai confusi, perché lui è la nostra speranza (1 Timoteo 1,1).

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